Come noto, per tutto il periodo 2020- 2024 i Comuni più virtuosi nel rapporto tra le spese del personale e le entrate correnti potranno effettuare nuovi reclutamenti avvalendosi anche delle facoltà assunzionali residue dei cinque anni antecedenti al 2020 (sebbene pur sempre entro i limiti massimi consentiti dal valore soglia di riferimento).
La disposizione in esame (art. 5, comma 2, del Decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica – del 17 marzo 2020) consente pertanto a questi Comuni di finanziare tutte o parte delle nuove assunzioni con le capacità assunzionali residue del 2019, del 2018, del 2017, del 2016 e del 2015.
Ma quali sono allora le cessazioni utili ai fini del computo del relativo budget assunzionale? Sicuramente tutte quelle verificatesi nel 2018, nel 2017, nel 2016, nel 2015 e nel 2014.
E le cessazioni del 2019? In proposito giova ricordare che l’art. 14-bis del D.L. n. 4/2019, convertito, con modificazioni, nella Legge 28 marzo 2019, n. 26, aveva introdotto in via transitoria (per il solo triennio 2019-2021) la possibilità per gli enti locali di sostituire i dipendenti cessati già in corso d’anno, senza attendere l’esercizio successivo, anche se ovviamente solo successivamente all’avvenuta efficacia della cessazione stessa.
Sembra pertanto ragionevole asserire che le cessazioni avvenute nel 2019 abbiano contribuito a determinare il budget assunzionale di competenza dello stesso anno e che, come tali, possano essere annoverate tra quelle capaci di generare resti assunzionali antecedenti al 2020.
Sul punto sarebbe tuttavia opportuno venissero forniti al più presto dei chiarimenti ufficiali, poiché è innegabile che le cessazioni del 2019 non rimpiazzate abbiano contribuito ad abbassare il numeratore del rapporto con le entrate correnti, andando così a determinare già di per sé stesse (quanto meno in taluni casi) un aumento degli spazi assunzionali a disposizione degli enti.
In ogni caso, ai fini di una corretta programmazione della spesa, è bene ricordare quanto statuito in proposito dalla Sezione delle Autonomie della Corte dei conti nella deliberazione n. 25/2017/QMIG, ove si afferma che i resti assunzionali sono rappresentati dalle capacità assunzionali maturate e quantificate secondo le norme vigenti ratione temporis dell’epoca di cessazione dal servizio del personale ma non utilizzate entro il quinquennio successivo alla maturazione. Detta quantificazione rimane cristallizzata nei predetti termini.
Pertanto, i c.d. resti assunzionali, dovranno essere calcolati in base al regime normativo vigente al momento di cessazione del personale dal servizio, avuto riguardo al quinquennio precedente e solo se non utilizzati.
Per facilitare il lavoro di verifica, pubblichiamo qui un prospetto in cui vengono riepilogate tutte le percentuali di turn over ammesse dal Legislatore nei vari anni di riferimento.