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Ancora consentito finanziare gli incrementi delle indennità delle PO con riduzioni delle facoltà assunzionali

Le disposizioni dell’art. 33, comma 2, del D.L. n. 34/3019 (convertito dalla L. n. 58/2019), non hanno comportato l’abrogazione delle norme di favore di cui all’art. 11 bis del D.L. n. 135/2018 (convertito dalla L. n. 12/2019), che consentono di non considerare nel limite del trattamento accessorio gli aumenti delle indennità di “risultato” e di “posizione” spettanti ai titolari delle posizioni organizzative.

Tali aumenti, tuttavia, sono computati nella spesa complessiva del personale e concorrono a ridurre gli spazi assunzionali dell’ente, come precisato dalla SRC Lombardia con il parere di cui alla delib. n. 210/2019.

È quanto affermato nella recente deliberazione della Sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Campania n. 97/2020/PAR.

Ad avviso dei Giudici, infatti, nel caso di specie non bisogna limitarsi ad una interpretazione strettamente letterale della disposizione in esame (legata all’espresso riferimento all’art. 23 del d.lgs. n.75/2017, contenuto nel menzionato art. 11-bis), ma occorre più concretamente ancorarsi alla voluntas legis, secondo i parametri del criterio teleologico.

Orbene, con l’art. 33, comma 2, del D.L. n. 34/2019, il legislatore intende consentire ai Comuni di incrementare il numero dei dipendenti in servizio. Qualora si ritenesse che, posto il nuovo limite di spesa, l’art. 11 bis risulti superato (recte: implicitamente abrogato), gli enti locali di piccole dimensioni e privi di dirigenza si troverebbero nell’impossibilita di procedere comunque a nuove assunzioni, vanificando l’intento sottostante la disposizione dell’art. 33 cit..

Pertanto, occorre superare lo specifico riferimento dell’art. 11-bis, comma 2, del D.L. n.135/2018 all’art. 23, comma 2, cit., ritenendolo ora integrato con l’ulteriore riferimento alla disposizione del ripetuto art. 33, comma 2.

In altri termini, l’art. 11 bis, comma 2, più volte richiamato non è stato implicitamente abrogato dalla successione normativa sopra illustrata, bensì deve essere riferito al combinato disposto degli artt. 23, comma 2, cit. e 33, comma 2, cit., secondo la prospettiva esaminata, che considera il tetto stabilito dalla prima disposizione come quello base, da adeguare e al di sotto del quale l’amministrazione non può scendere.

In quest’ottica, può dirsi che il quadro normativo di cui all’art. 11 bis ante D.L. n. 34/2019 sia rimasto invariato.

Per cui si ritiene che non si debba computare nel nuovo tetto del trattamento accessorio, individuato mediante il coordinamento delle due richiamate disposizioni, il differenziale degli incrementi degli importi delle retribuzioni di “posizione” e di “risultato” delle PO, laddove gli enti si siano avvalsi della facoltà di aumentarli ai sensi dell’art. 15 del Ccnl.

Le nuove disposizioni, pertanto, non hanno intaccato la discrezionalità delle pp.aa. di gestire gli spazi occupazionali, nel senso che gli aumenti del trattamento accessorio, ex art. 11-bis, comma 2, cit. sono contestualmente ridott[i] del valore finanziario” per le assunzioni (Cfr. Corte dei conti., sez. reg. contr. Lomb, delib. n. 210/19/PAR).

Tags: Assunzioni di personale, Posizioni organizzative, Trattamento accessorio