Con deliberazione n. 115/2023/QMIG, la Sezione regionale di controllo della Liguria ha ritenuto opportuno sottoporre al Presidente della Corte dei conti la valutazione dell’opportunità di deferire alla Sezione delle Autonomie o alle Sezioni Riunite in sede di controllo la seguente questione di massima ai fini dell’adozione di una pronuncia di orientamento generale: “se l’art. 33, comma 2, ultimo periodo, del d.l. n. 34 del 2019, convertito dalla legge n. 58 del 20019, nella parte in cui dispone che il limite al trattamento accessorio del personale di cui all’articolo 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, vada adeguato, in aumento o in diminuzione, per garantire l’invarianza del valore medio pro-capite, riferito all’anno 2018, del fondo per la contrattazione integrativa, prendendo a riferimento come base di calcolo il personale in servizio al 31 dicembre 2018, consideri, sia nell’anno base che in quello di applicazione della disposizione, anche le assunzioni di dirigenti a tempo determinato effettuate ai sensi dell’art. 110 del d.lgs. n. 267 del 2000”.
Come noto, sul punto la Ragioneria generale dello Stato (si vedano i pareri n. 179877 del 1° settembre 2020, reso alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, e n. 12454 del 15 gennaio 2021, reso al Comune di Roma) ha ritenuto che, ai fini dell’adeguamento del fondo per il trattamento accessorio, debba essere preso in considerazione unicamente il personale assunto con contratto a tempo indeterminato, escludendo, diversamente dai conteggi suggeriti per la valorizzazione del valore medio pro capite dell’anno 2018 (dalla stessa Circolare ministeriale), il personale assunto a tempo determinato.
La Sezione regionale di controllo ligure, pur prendendo atto dell’autorevole orientamento adottato dal Ministero dell’economia e delle finanze, ritiene tuttavia possibile, e preferibile, una differente interpretazione fondata sulla lettera e sulla ratio della legge, su considerazioni di carattere sistematico, nonché sulla valutazione degli effetti distorsivi (contrari agli obiettivi esplicitati dal medesimo legislatore) a cui conduce la posizione esposta nei due pareri citati.
In primo luogo, afferma il Collegio, anche se la disposizione oggetto del dubbio interpretativo posto dal Comune istante è contenuta all’interno dell’ultimo periodo di un comma (l’art. 33, comma 2, del d.l. n. 34 del 2019) dedicato alle assunzioni di personale a tempo indeterminato, cionondimeno la stessa contiene una regola di finanza pubblica riferita al “trattamento accessorio del personale di cui all’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75”, norma che, come noto, riguarda “l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche”, sia quello assunto a tempo indeterminato che determinato (sui profili interpretativi generali della norma di finanza pubblica, può farsi rinvio, per esempio, a Corte conti, SRC Lombardia n. 54/2018, SRC Friuli, n. 49/2017/PAR e SRC Piemonte, n. 144/2017/PAR).
Entrambe le categorie di personale, infatti, concorrono alla ripartizione dei fondi per la contrattazione integrativa previsti dal Contratto collettivo nazionale di riferimento (cfr., sul punto, artt. 1, 61 e 79 del CNNL del Comparto Funzioni locali del 16 novembre 2022, artt. 1, 43 e 57 del CCNL Area dirigenti Funzioni locali del 17 dicembre 2020, nonché, per esempio, Cassazione, sentenza n. 13929/2022) e con le sole risorse inserite nei primi, fatte salve le ipotesi previste da apposite disposizioni di legge (come accade per i c.d. incentivi tecnici, i diritti di rogito o i compensi agli avvocati interni, che transitano solo figurativamente nei fondi per la contrattazione integrativa) o dal medesimo CCNL di comparto (per es., art. 17, comma 6, del CCNL Comparto Funzioni locali del 16 novembre 2022).
La stessa rubrica dell’art. 33 del d.l. n. 34 del 2019 (“Assunzione di personale nelle regioni a statuto ordinario e nei comuni in base alla sostenibilità finanziaria”), precisano ancora i Giudici, non è riferita alle sole assunzioni a tempo indeterminato, contenendo la disposizione, come visto, alcuni precetti normativi (sia nel comma 2 in esame che nei precedenti commi 1 e 1-bis) riferirti all’impatto del nuovo sistema delle assunzioni a tempo indeterminato sui fondi per il salario accessorio e relativi limiti di finanza pubblica, che riguardano, come sopra precisato, in ragione del CCNL di comparto, anche il personale assunto con contratti a tempo determinato, il cui trattamento economico accessorio, salvo eventuali eccezioni previste dalla legge (una delle quali prevista, facoltativamente, anche per gli incarichi dirigenziali ex art. 110 TUEL, dal comma 3 della medesima disposizione) deve trovare copertura sui fondi per la contrattazione integrativa.
E, anche quando esiste possibilità di copertura con fondi autonomi di bilancio (in base a disposizioni di legge o del CCNL), gli emolumenti accessori concorrono, in base alla lettera dell’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017 ed alle interpretazioni della magistratura contabile (cfr., per es., Corte conti, SRC Puglia, deliberazione n. 27/2019/PAR), al raggiungimento del limite di finanza pubblica, che fa riferimento all’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, non solo a quelle coperte dai fondi per la contrattazione integrativa.
Di conseguenza, la mancata considerazione del personale assunto a tempo determinato ai fini dell’incremento (o decremento) del limite al trattamento accessorio del personale posto dalla norma di finanza pubblica di cui all’ultimo periodo del comma 2 del citato art. 33, produce il rischio di non garantire il raggiungimento dell’obiettivo prefigurato dal legislatore con la disposizione in esame (“l’invarianza del valore medio pro capite, riferito all’anno 2018, del fondo per la contrattazione integrativa”).
Si tratta di ratio legis, peraltro, palesata anche nei due citati pareri del MEF-RGS, che, espressamente, evidenziano come “poiché la retribuzione accessoria è soggetta alla verifica del limite disposto dall’articolo 23, comma 2 del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, al fine di evitare che le nuove assunzioni si traducano in una penalizzazione della retribuzione accessoria del personale già in servizio, ciascuna delle norme sopra richiamate prevede che il predetto limite sia adeguato, in aumento in conseguenza di assunzioni aggiuntive rispetto al personale in servizio alla data del 31.12.2018 – ovvero in diminuzione, in corrispondenza di cessazioni di personale – per garantire l’invarianza del valore medio pro-capite della retribuzione accessoria registrato nell’anno 2018”, senza, tuttavia, nella fattispecie prospettata dal Comune istante, trarne le conformi conclusioni interpretative (peraltro, in assenza di motivazione rispetto alla, invece, riconosciuta valorizzazione, da parte dei medesimi pareri MEF-RGS, ai fini della determinazione del valore base medio pro capite al 31 dicembre 2018).
La mancata considerazione, ai fini dell’applicazione dell’ultimo periodo dell’art. 33, comma 2, del d.l. n. 34 del 2019, dell’incremento della dotazione di personale in servizio (differenza fra l’anno base, il 2018, e quello di riferimento, 2023 nel caso di specie) derivante dalle assunzioni di personale dirigenziale a tempo determinato, prosegue ancora la delibera, oltre a non essere previsto dalla lettera della norma e risultare non coerente alla sua ratio, ha l’effetto di produrre effetti distorsivi e rischi di disparità di trattamento fra enti locali e personale/dirigenti in servizio (in contrasto con l’esigenza di salvaguardia del valore medio pro capite del trattamento economico accessorio perseguita dal legislatore).
Può farsi l’esempio di due enti locali, di dimensioni demografiche analoghe, che, nel 2018, avevano in servizio n. 20 dirigenti e, nel 2023, a seguito delle assunzioni medio tempore intervenute (sia ex art. 33, comma 2, del d.l. n. 34 del 2019 che ex art. 110 del d.lgs. n. 267 del 2000), n. 25. I ridetti due enti locali, in base all’interpretazione prospettata dal MEF-RGS nei due pareri sopra indicati, possono elevare il fondo per il salario accessorio (ai sensi dell’ultimo periodo del comma 2 del citato art. 33) solo se hanno assunto, nell’arco temporale indicato, dirigenti a tempo indeterminato. Per cui, per esempio, l’ente A, ove abbia effettuato n. 5 assunzioni tutte a tempo indeterminato, potrà incrementare il pertinente fondo per il salario accessorio per 5/20 (garantendo, come voluto dal legislatore, “l’invarianza del valore medio pro capite”, in particolare per i dirigenti già in servizio in precedenza); l’ente B, invece, ove abbia effettuato n. 2 assunzioni a tempo indeterminato e n. 3 ex art. 110 TUEL, pur avendo in servizio, complessivamente, le medesime 25 unità di personale, potrà farlo per soli 2/20 (con riduzione proporzionale del “valore medio pro capite” del fondo per tutti i dirigenti, anche quelli in servizio in precedenza).
L’esposta disparità di trattamento (in contrasto, si ribadisce, con la ratio legis espressamente enunciata dal legislatore) emerge, altresì, e si accentua, ove si consideri la situazione iniziale dei due ipotetici enti locali. Nell’esempio fatto, se l’ente A aveva in servizio, nel 2018, su un totale di 20 dirigenti, n. 16 a tempo indeterminato e n. 4 a tempo determinato, può, se ha assunto i riferiti n. 5 nuovi dirigenti tutti a tempo indeterminato, incrementare il pertinente fondo per il salario accessorio per 5/20; se l’ente B, invece, sempre nell’anno base 2018, aveva in servizio n. 20 dirigenti, tutti a tempo indeterminato, può elevare il medesimo fondo, nell’esempio fatto (n. 2 assunzioni a tempo indeterminato e n. 3 a tempo determinato), solo di 2/20, pur avendo in servizio, complessivamente, n. 3 soli dirigenti a tempo determinato, invece dei n. 4 dell’ente A (e conseguente riduzione proporzionale, per l’ente B, del salario accessorio medio pro capite di tutti i dirigenti in servizio, anche dei 20 assunti in precedenza a tempo indeterminato).
A nostro avviso, l’interpretazione proposta dalla Magistratura contabile risulta più convincente sotto un profilo sistematico e teleologico, giacché, se il legislatore ha inteso davvero garantire l’invarianza del valore medio pro-capite, riferito all’anno 2018, del fondo per la contrattazione integrativa, occorre necessariamente includere nel calcolo tutti i dipendenti che compartecipano alla distribuzione del fondo stesso, ivi inclusi quelli assunti a tempo determinato.
Per di più, in un’ottica di omogeneità ed uniformità applicativa, appare decisamente fuorviante includere i dipendenti a tempo determinato nel primo conteggio, quello per la valorizzazione del valore medio pro capite dell’anno 2018, per poi invece scartare i tempi determinati aggiuntivi assunti successivamente ai fini dell’adeguamento del fondo per il trattamento accessorio.