Nelle procedure di selezione comparativa interna per l’accesso all’area immediatamente superiore l’amministrazione può legittimamente richiedere agli interessati il previo svolgimento di incarichi di particolare responsabilità.
È quanto ha affermato il T.A.R. del Veneto nella recente sentenza n. 181 dell’11 marzo 2025.
Come noto, infatti, l’art. 52, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001 prevede che, “Fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all’accesso dall’esterno, le progressioni fra le aree avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni di servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli professionali e di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area, nonché sul numero e sulla tipologia degli incarichi rivestiti. All’attuazione del presente comma si provvede nei limiti delle risorse destinate ad assunzioni di personale a tempo indeterminato disponibili a legislazione vigente”.
Tale norma non esclude quindi la discrezionalità dell’Amministrazione di considerare (anche) gli incarichi rivestiti ai fini dell’accesso alla procedura comparativa di che trattasi.
Invero, ad avviso del Collegio, il fatto che la procedura comparativa debba essere “basata” sugli aspetti tra i quali è compresa la titolarità di incarichi consente all’Amministrazione di dare rilievo a tale criterio non solo nel momento valutativo, ma anche in quello precedente dell’ammissione.
La norma in esame attribuisce perciò all’Amministrazione il potere discrezionale di “graduare e declinare in autonomia i titoli e le competenze professionali richiesti ai fini della progressione verticale interna” (cfr. T.A.R. Catania, sez. III, 3 gennaio 2024, n. 12, che ha considerato legittimo, ai fini dell’accesso di una procedura di progressione verticale ex art. 52, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001 un titolo di studio ulteriore rispetto a quello valido per l’accesso all’area dall’esterno).
Viene dunque in rilievo una scelta espressione di discrezionalità amministrativa, di regola insindacabile se non per manifesta irragionevolezza, vista la natura stessa del procedimento (progressione interna), funzionale a valorizzare esperienza e professionalità di soggetti già dipendenti dell’Amministrazione.
A ben vedere, prosegue la sentenza, si tratta di un potere discrezionale analogo a quello considerato dall’art. 2, comma 6, del D.P.R. 9 maggio 1994 n. 487 (“Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi”), secondo cui “ Le amministrazioni individuano, per ciascun profilo professionale, il titolo di studio o l’abilitazione professionale richiesti per accedere al concorso, in coerenza con la disciplina vigente in materia di pubblico impiego e di quanto stabilito nella contrattazione collettiva del relativo comparto, nonché con il sistema di classificazione adottato dall’amministrazione o dall’ente per le assunzioni, comprese quelle obbligatorie delle categorie protette. Per l’ammissione a particolari profili professionali di qualifica o categoria, gli ordinamenti delle singole amministrazioni possono prescrivere ulteriori requisiti. […]”.