La mera sussistenza in astratto di una situazione di conflitto di interesse in capo al soggetto che abbia designato il presidente della commissione di concorso, di per sé, non esplica effetti automaticamente invalidanti sugli atti medio tempore compiuti dall’organo tecnico di valutazione, dovendo a tal fine accertarsi la rilevanza in concreto del difetto di investitura da parte di uno o di tutti i componenti dell’organo rispetto allo svolgimento regolare e imparziale della procedura.
È quanto affermato dal T.a.r. per la Sicilia, sezione V, nella recente sentenza 10 dicembre 2024, n. 3412.
D’altronde, precisano i Giudici, è ben noto che “le fattispecie di incompatibilità non possono trovare un’applicazione meramente formalistica, ma occorre altresì verificare se la situazione concreta dedotta in giudizio sia idonea ad incidere sul giudizio della commissione medesima nel senso di orientarlo a favore di un candidato (o di un gruppo di candidati) piuttosto che di un altro” (Consiglio di Stato, sent. n. 1053 del 04.02.2021). Sul punto si richiamano anche le recenti pronunce dei giudici di prime cure, ossia T.A.R. Toscana, sez. II, 22.03.2024, n. 341, ad avviso del quale “Detta connotazione di concretezza e specificità, e non già di genericità ed indeterminatezza, deve avere riguardo sia alle situazioni di conflitto di interesse tipizzate nell’ordinamento, sia con riferimento a quelle non tipizzate”, e T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 07.03.2024, n. 356, par. 16.1. T.A.R. Umbria, 25.03.2024, n. 203 ha dal canto suo rimarcato che “l’incompatibilità tra esaminatore e concorrente è determinata dall’esistenza tra i due soggetti di una comunanza di interessi economici o di vita d’intensità tale da far nascere il sospetto che il candidato sia giudicato non in base alle risultanze oggettive della procedura, ma in virtù della conoscenza personale con il componente la commissione ed idonea a far insorgere un dubbio della violazione dei principi di imparzialità, di trasparenza e di parità di trattamento”.
A ciò si aggiunga che l’eventuale vizio di investitura del presidente della commissione non avrebbe potuto travolgere ipso facto e in via conseguenziale l’intero organo e, a fortiori, gli atti da questo posti in essere. Invero, secondo la giurisprudenza amministrativa, dato il carattere scindibile del provvedimento di nomina dei componenti della commissione di esame, il riesame di legittimità della posizione di taluno dei membri della Commissione di esame – in base al principio di conservazione dei valori giuridici – non si riflette, in via derivata e consequenziale, sulla validità della composizione dell’intero organo collegiale (Consiglio di Stato, sez. VI, 23 dicembre 2010, n. 9340).
Il giudizio in esame aveva ad oggetto il provvedimento di annullamento in autotutela di un concorso pubblico, a causa del conflitto di interessi in cui versava il dirigente generale il quale, malgrado la partecipazione di un proprio parente (poi classificatosi al primo posto) alla selezione, non segnalava il conflitto di interessi e non si asteneva dal designare il presidente della commissione di concorso come previsto dall’art. 6-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 e dall’art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62.
In motivazione la sezione ha precisato che la mancata astensione del soggetto designante, tenuto conto delle circostanze concrete e della peculiare modalità di svolgimento delle prove (di cui quella scritta svolta su domande a risposta multipla predisposte da un terzo soggetto, estratte a sorte e corrette con procedura automatizzata), non era tale né da invalidare la nomina della commissione nel suo complesso né da viziare gli atti della procedura concorsuale, considerato che la situazione di conflitto non ha sortito effetti sul corretto e imparziale svolgimento della procedura concorsuale.