Il risarcimento del danno da cosiddetta perdita di “chance” non segue automaticamente a una procedura concorsuale illegittima ma va individuato nella sussistenza di elevate probabilità di esito vittorioso della selezione, la cui prova, anche presuntiva, non può essere integrata dall’esistenza di probabilità tutte pari tra i vari concorrenti alla selezione di conseguire il risultato atteso, occorrendo che si dimostri il nesso di causalità tra l’inadempimento datoriale e il suddetto danno in termini prossimi alla certezza.
È questo il principio di diritto affermato dalla Sezione Lavoro della Cassazione con l’ordinanza n. 25442 del 23 settembre 2024.
Invero, precisano i Giudici, a fronte di una domanda di risarcimento del danno da perdita di chance, il giudice del merito è chiamato ad effettuare una valutazione che si svolge su due diversi piani in quanto occorre innanzitutto che, sulla base di elementi offerti dal lavoratore, venga ritenuta sussistente una concreta e non meramente ipotetica probabilità dell’esito positivo della selezione e solo qualora detto accertamento si concluda in termini positivi vi potrà essere spazio per la valutazione equitativa del danno, da effettuare in relazione al canone probabilistico riferito al risultato utile perseguito (Cass. n. 26694/2017).
Rispetto alla prova del nesso causale tra comportamento illegittimo e danno risarcibile per perdita di chance, prosegue ancora l’ordinanza, la giurisprudenza di questa Corte è d’altronde attestata su parametri valutativi che richiedono l’apprezzamento del probabile trasformarsi della chance in reale conseguimento del beneficio in termini di «elevata probabilità, prossima alla certezza» (così, testualmente, Cass. 9 maggio 2018, n. 11165; conf. Cass. 12 maggio 2017, n. 11906; Cass. 30 settembre 2016, n. 19604; Cass. 11 maggio 2010, n. 11353; Cass. 19 febbraio 2009, n. 4052; v. altresì Cass. 1° marzo 2016, n. 4014, ove il danno è stato riconosciuto sul presupposto che fosse stimabile un novanta per cento di probabilità di promozione).
Tale impostazione va in questa sede ribadita, in quanto è chiaro che una cosa è la determinazione di un nesso causale tra un comportamento e un danno certo (nel quale caso in ambito civilistico vale appunto la c.d. regola del «più probabile che non»: Cass., S.U., 11 gennaio 2008, n. 576) ed altro è stabilire i criteri di valutazione della rilevanza di un pregiudizio che, pur essendo cagionato anch’esso dal comportamento altrui, è addirittura incerto nella sua reale verificazione in senso giuridico (ovverosia quale perdita di un’utilità che si avesse diritto ad avere), quale è il danno da perdita di chance; è in definitiva razionale che, proprio per l’incertezza rispetto alla spettanza dell’utilità in ipotesi menomata, la probabilità di verificazione di cui è necessaria la prova si collochi, come da giurisprudenza citata, verso i range più elevati della scala probabilistica (Cass. 9 marzo 2021 n. 6485 parla di “significati probabilità”).
Ma la decisione in commento si segnala anche perché ribadisce un importante principio in materia di conferimento degli incarichi dirigenziali, ricordando che le norme contenute nell’art. 19, comma 1, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, obbligano l’Amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 cod. civ.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. Tali norme[…] obbligano la P.A. a valutazioni comparative, all’adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte; laddove, pertanto, l’Amministrazione non abbia fornito nessun elemento circa i criteri e le motivazioni seguiti nella selezione dei dirigenti ritenuti maggiormente idonei agli incarichi da conferire, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile» (Cass. 12.1O.2010 n. 21088).