Sempre più spesso i concorsi pubblici (specie quelli per la qualifica dirigenziale) impongono ai candidati di cimentarsi con prove situazionali, sia in modalità scritta che in modalità orale.
Ovviamente, l’utilizzo di questi strumenti, così come il “peso” da attribuire a ciascuna delle prove, è rimesso alla discrezionalità della Pa.
Tuttavia, ove la prova scritta del concorso contempli una serie di quesiti situazionali relativi a problematiche organizzative e gestionali, detti quesiti devo essere formulati in maniera chiara, non incompleta o ambigua, in modo da consentire l’univocità della risposta.
È quanto ha precisato il Consiglio di Stato nella recente sentenza n. 5840 del 2 luglio 2024.
Invero, precisano i Giudici, secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, la commissione «non deve tendere “tranelli” e formulare domande ambigue e confondenti ai candidati, tali per cui questo debba scegliere tra le multiple risposte la “meno errata” o l’“approssimativamente più accettabile”, per così dire, anziché quella – l’unica, incontestabilmente – corretta sul piano scientifico, essendo un tale metodo di formulazione dei quesiti scorretto, e inaccettabile, proprio in base ai principi della c.d. riserva di scienza, alla quale anche la pubblica amministrazione deve attenersi nell’esercizio della propria discrezionalità tecnica, certamente sindacabile sotto questo riguardo dal giudice amministrativo» (così Cons. Stato, n. 6756/2022).