Con sentenza n. 1254 del 26 febbraio 2024, il T.A.R. della Campania ha ricordato che, per costante orientamento, “nel pubblico impiego privatizzato, l’applicazione dello “spoils system”, con riguardo agli incarichi dirigenziali, può essere ritenuta coerente con i principi costituzionali di cui all’art. 97 Cost. solo ove ricorrano i requisiti della apicalità dell’incarico e della fiduciarietà della scelta del soggetto da nominare, da intendersi come preventiva valutazione soggettiva di consonanza politica e personale con il titolare dell’organo politico” (Cass. civ., sez. lav., 30 novembre 2022, n. 35235). Con specifico riguardo agli incarichi assegnati ai sensi dell’art. 110 T.U.E.L., precisano poi i giudici di Palazzo Spada, “a) l’art. 110, comma 3, TUEL non può certamente essere inteso nel senso di consentire l’applicabilità dello “spoils system” ad incarichi non apicali e di tipo tecnico – professionale, a meno che non sia dimostrato che la “fiduciarietà” iniziale si configuri come preventiva valutazione soggettiva di consonanza politica e personale tra l’incaricato del titolare dell’organo politico di cui si tratta;
b) a tale risultato ermeneutico si perviene in base all’obbligo dell’interprete di intendere tutte le norme in materia di “spoils system” in senso costituzionalmente orientato al rispetto dell’art. 97 Cost., come interpretato dalla Corte costituzionale;
c) in particolare, rispetto a tale interpretazione è incompatibile l’attribuzione all’espressione “in carica” posta alla fine della prima frase dell’art. 110, comma 3, cit. – il cui testo completo, per quanto interessa, è il seguente: “3. I contratti di cui ai precedenti commi non possono avere durata superiore al mandato elettivo del sindaco… in carica” – del significato di consentire la decadenza automatica dall’incarico tutte le volte in cui il sindaco per una qualunque ragione e, quindi, anche per il suo decesso improvviso, non sia più in carica, in quanto questo equivarrebbe a legittimare il ricorso al meccanismo dello “spoils system” anche in ipotesi nella quali ciò si porrebbe in contrasto con l’art. 97 Cost., come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale;
d) di conseguenza, la su riportata norma non può che essere intesa come diretta a stabilire un limite oggettivo e chiaro di durata massima degli incarichi di cui si tratta (la cui durata minima è quella stabilita dell’art. 19 TUPI), attraverso un implicito riferimento al precedente art. 51 TUEL, ove è stabilita la durata quinquennale del mandato elettivo “de quo”;
e) nello stesso modo devono, quindi, intendersi tutti gli atti che per gli incarichi in parola fanno riferimento alla durata del mandato, quindi anche la clausola contrattuale con la quale si è stabilito che il termine finale del rapporto in oggetto doveva coincidere con “lo scadere del mandato elettorale del Sindaco”” (Cass. civ., sez. lav., 5 maggio 2017, n. 11015).
Pertanto, la scadenza del mandato del sindaco non è causa di cessazione dell’incarico dirigenziale conferito ai sensi dell’art. 110 del D.Lgs. 267/2000 e la sua revoca può essere giustificata soltanto da ragioni organizzative, quali, appunto, una riorganizzazione della struttura amministrativa dell’ente.
Tuttavia, prosegue la sentenza, anche i provvedimenti di macro-organizzazione con cui si definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici sono soggetti all’obbligo di motivazione.
Tale obbligo, benché risenta del carattere ampiamente discrezionale del potere esercitato, non può essere disatteso, né ridursi all’esternazione di vuote clausole di stile, dovendo richiamare le esigenze per le quali l’Amministrazione ha ritenuto di assumere un determinato assetto organizzativo, perché esse possano essere apprezzate in termini di congruità e ragionevolezza (“Gli atti in questione sono atti amministrativi aventi natura organizzatoria non generale, in quanto non abbisognano, per esplicare i loro effetti immediati, di altri successivi provvedimenti, ma sono al contrario idonei a modificare direttamente le strutture operative dell’ente. Come tali, pertanto, sono soggetti alla disciplina pubblicistica ai sensi dell’art.2, comma 1, D.Lgs. 165/2001, e, se oggetto di contestazione giurisdizionale, rimessi alla cognizione del g.a. secondo la regola fissata dall’art. 63, D.Lgs.165/2001; agli stessi è dunque applicabile il comma 1 dell’art. 3, l. n.241/1990, in omaggio al principio di trasparenza dell’azione amministrativa, la cui attuazione deve essere assicurata anche nella concreta articolazione dell’architettura degli uffici pubblici. Disposizione quest’ultima, riferita ai provvedimenti amministrativi, che non è, invece, immediatamente applicabile agli atti di diritto privato che riguardano la gestione ordinaria del rapporto e la “microorganizzazione” delle strutture dell’amministrazione, affidate alla responsabilità del competente dirigente, in un’ottica di efficienza e di snellezza dell’azione del soggetto pubblico. (cfr. fra le tante, Cass., sez. un., 8 novembre2005, n. 21592; Cons. St., Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6705; Comm. spec., 5febbraio 2001, n. 471/2001). È necessario, quindi, che gli atti amministrativi attraverso i quali vengono organizzati gli uffici si ispirino (rendendoli conoscibili) a principi di non manifesta illogicità o incongruità dell’assetto in concreto prescelto.
In relazione a tali principi va commisurato il quantum di motivazione esigibile, che deve ritenersi imposto all’amministrazione in funzione dell’esigenza di esplicitare congruità e non irragionevolezza delle scelte operate e dei modelli organizzatori adottati (C.G.A., 23 maggio 2012, n. 467).” così Consiglio di Stato, Sez. V, 14 maggio 2013, n. 2607/2013).