Due recenti pronunciamenti giurisprudenziali ci consentono di tornare ad affrontare un tema di costante attualità, ossia quello dell’obbligo di astensione dei componenti delle commissioni di concorso per grave inimicizia con uno dei candidati.
La prima delle due sentenze in commento (la sentenza del TAR Puglia n. 280 del 6 marzo 2024) prende in esame una fattispecie in cui la candidata di un concorso ha invocato l’applicazione dell’art. 51, comma 1, n. 3 Cod. proc. civ. nei riguardi della presidente della commissione (“causa pendente o grave inimicizia”), deducendo che quest’ultima era stata componente della commissione esaminatrice di precedente concorso il cui esito era stato contestato dalla ricorrente in sede giurisdizionale.
In proposito i Giudici hanno ritenuto opportuno preliminarmente “rammentare che le cause di incompatibilità di cui al ripetuto art. 51, com’è noto (cfr., per tutti, Cons. St., III, 24 gennaio 2013 n. 477) estensibili a tutti i campi dell’azione amministrativa quale applicazione dell’obbligo costituzionale d’imparzialità – maxime alla materia concorsuale -, rivestono un carattere tassativo. Esse sfuggono quindi ad ogni tentativo di manipolazione analogica (arg. ex Cons. St., VI, 3 marzo 2007 n. 1011; id., 26 gennaio 2009 n. 354; id., 19 marzo 2013 n. 1606) all’evidente scopo di tutelare l’esigenza di certezza dell’azione amministrativa e la stabilità della composizione delle commissioni giudicatrici. Tanto soprattutto per evitare interferenze o interventi esterni, preordinati, con effetto parimenti abusivo a quello dell’omessa astensione di chi versi in patente conflitto d’interessi, a determinare, mediante usi forzati o infondati di detti obblighi, una composizione gradita o intimorita dell’organo giudicante” (Consiglio di Stato, sezione terza, 2 aprile 2014, n. 1577).
Osserva il collegio che l’illustrata mera impugnativa da parte della ricorrente degli atti di un precedente concorso non è di per sé sufficiente a integrare la fattispecie di astensione di cui all’invocata norma processuale.
Invero, l’art. 51, comma 1, n. 3 Cod. proc. civ. dispone, in parte qua, che l’organo giudicante ha l’obbligo di astenersi “se egli stesso… ha causa pendente o grave inimicizia… con una delle parti…”, mentre, come condivisibilmente opposto dalla difesa dell’Amministrazione, il giudizio cui la ricorrente fa riferimento non pende tra quest’ultima e la presidente della commissione, ma tra la ricorrente e l’Amministrazione e, inoltre, per giurisprudenza consolidata, la situazione di “grave inimicizia”, rilevante ai sensi dell’art. 51 c.p.c., presuppone la reciprocità (Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2018, n. 7170; Sez. III, 2 aprile 2014, n. 1577); inoltre deve trovare fondamento solo in rapporti personali ed estrinsecarsi in documentate e inequivocabili circostanze di conflittualità (Cons. Stato, Sez. V, n. 7170/2018, cit., e Sez. III, n. 1577/2014, cit.), dovendo la grave inimicizia riferirsi a ragioni private di rancore o di avversione sorte nell’ambito di rapporti estranei ai compiti istituzionali (Cass. civ., Sez. III, 13 aprile 2005, n. 7683) (T.A.R. Lazio, Roma, sezione prima, 24 agosto 2023, n. 13417; cfr. anche Consiglio di Stato, sezione quinta, 7 dicembre 2012, n. 650, Cassazione civile, sezione seconda, 31 ottobre 2018, n. 27923, T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sezione prima, 15 aprile 2011 n. 363) e configurarsi come autonomamente insorta da rapporti interpersonali legati a vicende della vita estranee alle funzioni esercitate dal soggetto giudicante, non ravvisabili nel caso di specie.
Peraltro, sottolineano i Giudici, alcun rilievo è stato opposto al riguardo dalla ricorrente al momento della partecipazione alle prove concorsuali, le quali si sono svolte successivamente alla presentazione del ricorso.
La seconda delle due sentenze in commento (la sentenza del TAR Lombardia n. 656 del 7 marzo 2024) ha invece escluso l’esistenza di una situazione di conflitto di interesse in capo al presidente della sottocommissione di esame di un concorso in ragione della sussistenza di cattivi rapporti tra questi e suo padre.
Al riguardo il Tar ha innanzitutto ricordato che l’art. 51 comma 1, num.3) c.p.c. stabilisce l’obbligo di astensione nel caso in cui il soggetto giudicante o il coniuge abbiano “grave inimicizia (…) con una delle parti”. È poi ammessa, secondo il disposto di cui al comma 2, la possibilità di astensione facoltativa “in ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza”.
Quanto alla prima ipotesi, giova ribadire che, secondo consolidati approdi giurisprudenziali, l’“inimicizia grave” cui fa riferimento la norma deve “essere reciproca, trovare fondamento esclusivamente in rapporti personali, derivare da vicende estranee allo svolgimento delle funzioni ed estrinsecarsi in dati di fatto concreti, precisi e documentati” (Cons. di Stato, Sez. V, 20 dicembre 2018 n. 7170). Inoltre, “(…) deve configurarsi come autonomamente insorta da rapporti interpersonali legati a vicende della vita estranee alle funzioni pubbliche esercitate da taluna delle parti in causa (Consiglio di Stato, Sez. VI, Consiglio di Stato sez. VI, 6 aprile 2022, n.2552; Consiglio di Stato sez. VI, 10 gennaio 2022, n.163)” (Cons. Stato, Sez. VII, 16 novembre 2022, n. 10098).
Con riferimento alla seconda ipotesi, invece, il Collegio rammenta che, oltre all’art. 51, comma 2 c.p.c., l’astensione per “gravi ragioni di convenienza” è espressamente prevista per i pubblici dipendenti, con identica locuzione, all’art. 7 del D.P.R. n. 62/2013. L’art. 6 bis della Legge n. 241/1990 stabilisce, inoltre, un obbligo di astensione “in caso di conflitto di interessi”, corredato dal dovere di segnalare “ogni situazione di conflitto, anche potenziale”. Similmente l’art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001 prevede la verifica o la dichiarazione di situazioni, “anche potenziali”, di conflitto di interesse.
Sul piano interpretativo, le nozioni sopra richiamate sono state oggetto di un’ampia ricostruzione all’interno del parere della Sezione Consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, n. 667/2019, reso in esito all’Adunanza di Sezione del 31.01.2019, che, sebbene relativo alle procedure di affidamento di contratti pubblici, può essere richiamato anche in questa sede in considerazione della natura generale e sistematica delle questioni definitorie ivi affrontate.
In detta sede, quanto al concetto di conflitto di interessi (i.e. di conflitto di interessi “attuale”), è stato chiarito che esso si configura “come una condizione giuridica che si verifica quando, all’interno di una pubblica amministrazione, lo svolgimento di una determinata attività sia affidato ad un funzionario che ha contestualmente titolare di interessi personali o di terzi, la cui eventuale soddisfazione implichi necessariamente una riduzione del soddisfacimento dell’interesse funzionalizzato”.
Inoltre, perché il conflitto sorga, è necessario “che si sia alla presenza di veri e propri interessi, (…) vale a dire che effettivamente sussista un bisogno da soddisfare e che tale soddisfazione sia raggiungibile effettivamente subordinando un interesse all’altro. Vengono quindi in rilievo non già situazioni astratte e meramente potenziali, ma concrete, specifiche e attuali”.
Diversamente, il conflitto di interessi potenziale ricorre in presenza di condizioni che “per loro natura, pur non costituendo allo stato una delle situazioni tipizzate, siano destinate ad evolvere in un conflitto tipizzato”. E ciò vale in relazione sia alle ipotesi che fondano l’obbligo di astensione – nella fattispecie, come sopra evidenziato, si tratterebbe dell’“inimicizia grave” – sia a quelle situazioni che possano per sé favorire l’insorgere di una condizione di “non indipendenza e imparzialità in relazione a rapporti pregressi, solo però se inquadrabili per sé nelle categorie dei conflitti tipizzati (…) Entrambi i tipi di situazione, quelle che evolvono de futuro verso il conflitto e quelle favorenti de praeterito il conflitto, costituiscono la declinazione delle gravi ragioni di convenienza di cui agli art. 7 e 51 citati in cui si risolvono, ed anche del “potenziale conflitto” di cui agli articoli 6 bis e 53 citati. In sostanza la qualificazione “potenziale” e le “gravi ragioni di convenienza” sono espressioni equivalenti perché teleologicamente preordinate a contemplare i tipi di rapporto destinati, secondo l’id quod plerumque accidit, a risolversi (potenzialmente) nel conflitto per la loro identità o prossimità alle situazioni tipizzate”. Pertanto, “possono configurarsi ipotesi di potenziale conflitto di interessi, con conseguente obbligo di astensione, solo quando ragionevolmente l’organo amministrativo chiamato a svolgere una determinata attività si trovi in una posizione personale e/o abbia relazioni con terzi che possono, anche astrattamente, inquinare l’imparzialità dell’azione amministrativa, con riferimento alla potenzialità del verificarsi di una situazione tipizzata di conflitto”.
In sostanza, conclude la sentenza, può affermarsi la presenza di un conflitto di interessi attuale quando ricorra in concreto una delle cause tipiche di astensione obbligatoria, mentre il “conflitto di interessi potenziale” – coincidente con le “gravi ragioni di convenienza” – si manifesta in presenza circostanze idonee a evolvere in una situazione tipica di astensione obbligatoria oppure nel caso di vicende pregresse, comunque tali da integrare a suo tempo una situazione tipizzata di conflitto, che possano favorire l’insorgere di una condizione di non indipendenza e imparzialità dell’organo giudicante (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. I bis, 3.05.2023, n. 7450).