Con una recente sentenza il Consiglio di Stato (Sezione IV, n. 1179/2024) è tornato sul tema del rapporto tra l’accesso civico generalizzato di cui al D.Lgs. 33/2013 e l’accesso documentale previsto dalla legge 241/90.
L’accesso civico generalizzato, come noto, costituisce un diritto fondamentale che contribuisce al miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che l’ordinamento giuridico riconosce alla persona.
La natura fondamentale del diritto di accesso generalizzato rinviene, infatti, fondamento, oltre che nella Carta costituzionale (artt. 1, 2, 97 e 117) e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 42), anche nell’art. 10 della CEDU, in quanto la libertà di espressione include la libertà di ricevere informazioni e le eventuali limitazioni, per tutelare altri interessi pubblici e privati in conflitto, sono solo quelle previste dal legislatore, risultando la disciplina delle eccezioni coperta da riserva di legge.
L’accesso civico generalizzato si traduce nel diritto della persona a ricercare informazioni, quale diritto che consente la partecipazione al dibattito pubblico e di conoscere i dati e le decisioni delle amministrazioni al fine di rendere possibile quel controllo “democratico” che l’istituto intendere perseguire.
La conoscenza dei documenti, dei dati e delle informazioni amministrative consente, infatti, la partecipazione alla vita di una comunità, la vicinanza tra governanti e governati, il consapevole processo di responsabilizzazione (accountability) della classe politica e dirigente del Paese.
Ai fini dell’accesso civico generalizzato, inoltre, non occorre verificare, così come per l’accesso documentale, la legittimazione dell’accedente, né è necessario che la richiesta di accesso sia supportata da idonea motivazione.
L’accesso civico “generalizzato” consente, contrariamente a quello documentale, a “chiunque” di visionare ed estrarre copia cartacea o informatica di atti “ulteriori” rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria (articolo 5, comma 2, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33).
Per effetto dell’adesione dell’ordinamento al modello di conoscibilità generalizzata delle informazioni amministrative proprio dei cosiddetti sistemi FOIA (Freedom of information act), l’interesse conoscitivo del richiedente è elevato al rango di un diritto fondamentale (cosiddetto “right to know”), non altrimenti limitabile se non in ragione di contrastanti esigenze di riservatezza espressamente individuate dalla legge, mentre l’accesso documentale (e ancor di più quello difensivo) risponde al paradigma del “need to know”, con tutto ciò che ne consegue.
Dalle considerazioni che precedono, conclude la sentenza, emerge la netta distinzione, sul piano strutturale e funzionale, tra l’istituto dell’accesso documentale e quello civico generalizzato, da cui ulteriormente discende la legittima facoltà di azionare il secondo anche quando non sussistono, o non sussistono più, i presupposti per esercitare il primo.