Con Atto del Presidente del 19 dicembre 2023, l’ANAC è tornata nuovamente ad esprimersi sul tema del conflitto di interessi dei componenti delle commissioni di concorso, su cui si era pronunciata precedentemente con parere protocollo n. 353/2023.
In linea generale, precisa l’Autorità, «nel nostro ordinamento non esiste una definizione univoca e generale di “conflitto di interessi”, né tantomeno una norma che preveda analiticamente tutte le ipotesi e gli elementi costitutivi di tale fattispecie.
Secondo l’interpretazione data dalla giurisprudenza amministrativa, la situazione di conflitto di interessi si configura quando le decisioni che richiedono imparzialità di giudizio siano adottate da un soggetto che abbia, anche solo potenzialmente, interessi privati in contrasto con l’interesse pubblico alla cui cura è preposto. L’interesse privato che potrebbe porsi in contrasto con l’interesse pubblico può essere di natura finanziaria, economica o dettato da particolari legami di parentela, affinità, convivenza o frequentazione abituale con i soggetti destinatari dell’azione amministrativa.
In particolare l’art 7 del DPR 62/2013, richiama quale ipotesi tipizzate di conflitto che impongono l’astensione, anche le attività o le decisioni che possono coinvolgere, oltre agli interessi propri e di familiari o conviventi, gli interessi di persone con le quali vi siano rapporti di frequentazione abituale. Occorre precisare, per quanto di interesse nel caso in questione, che detto concetto di “amicizia” non coincide con la mera “colleganza” d’ufficio, ma deve tradursi in una durevole intensa frequentazione abituale in contesti anche extralavorativi
Vanno, inoltre, considerate tutte quelle ipotesi residuali in cui ricorrano ‘gravi ragioni di convenienza’ per cui è opportuno che il funzionario pubblico si astenga dall’esercizio della funzione amministrativa, al fine di evitare potenziali conseguenze quali il danno all’immagine di imparzialità dell’amministrazione nell’esercizio delle proprie funzioni».
L’Autorità rileva poi come i principi generali in materia di astensione e ricusazione del giudice, trovino applicazione anche nello svolgimento delle procedure concorsuali, in quanto strettamente connessi al trasparente e corretto esercizio delle funzioni pubbliche.
La giurisprudenza amministrativa, si legge ancora nella pronuncia, «è infatti intervenuta univocamente affermando il principio secondo il quale le cause di incompatibilità devono considerarsi estese a tutti i campi dell’azione amministrativa in considerazione del principio costituzionale di imparzialità, affermandone al contempo il carattere tassativo e l’impossibilità di procedere ad un’estensione analogica delle stesse».
Il giudice amministrativo ha provveduto a identificare alcune ipotesi di concreta applicazione, con riferimento alla composizione delle commissioni di concorso, in ambito universitario (ma il caso è assimilabile), sostenendo che: l’appartenenza allo stesso ufficio del candidato e il legame di subordinazione o di collaborazione tra i componenti della commissione e il candidato stesso non rientrano nelle ipotesi di astensione; i rapporti personali di colleganza o di collaborazione tra alcuni componenti della commissione e determinati candidati non sono sufficienti a configurare un vizio della composizione della commissione stessa; in sede di pubblico concorso l’incompatibilità tra esaminatore e concorrente si può realmente ravvisare non già in ogni forma di rapporto professionale o di collaborazione scientifica, ma soltanto in quei casi in cui tra i due sussista un concreto sodalizio di interessi economici, di lavoro o professionali talmente intensi da ingenerare il sospetto che la valutazione del candidato non sia oggettiva e genuina, ma condizionata da tale cointeressenza.
Dunque, il legame di colleganza e/o di subordinazione o collaborazione tra i componenti della commissione e il candidato può essere idoneo ad alterare sensibilmente la par condicio tra i concorrenti solo nel caso in cui sia caratterizzato da intensità, assiduità e sistematicità.
L’Autorità ha ritenuto rilevante, ai fini della sussistenza di un conflitto di interesse, un rapporto professionale sistematico, stabile e continuo, tale da lasciar presupporre una comunione di interessi economici o di vita tra il candidato e il commissario.
Sulla tematica, l’ANAC richiama da ultimo anche una recente pronuncia delle Corte di Appello della Corte dei Conti (sentenza n. 352 del 1° ottobre 2019) che ha condannato al risarcimento un Dirigente medico presso una Asl, in favore della stessa Azienda sanitaria, per avere lo stesso omesso di astenersi dallo svolgimento dell’incarico di Presidente di una Commissione di concorso, nonostante la sussistenza di una situazione di conflitto di interessi per i rapporti di stretta vicinanza e professionali che lo legavano a 2 candidati. La Corte ha ritenuto che: “Il conflitto di interessi può esprimersi, non solo in termini di grave “inimicizia” nei confronti di un candidato, ma anche in tutte le ipotesi di peculiare “amicizia” o assiduità nei rapporti (personali, scientifici, lavorativi, di studio), rispetto ad un altro concorrente, in misura tale che possa determinare anche solo il dubbio di un sostanziale “turbamento” o “offuscamento” del principio di imparzialità. Se è pur vero che, di regola, la sussistenza di singoli e occasionali rapporti di collaborazione tra uno dei candidati ed un membro della Commissione esaminatrice non comporta sensibili alterazioni della par condicio tra i concorrenti, è altrettanto vero che l’esistenza di un rapporto di collaborazione costante (per non dire assoluta) determina necessariamente un particolare vincolo di amicizia tra i detti soggetti, che è idonea a determinare una situazione di incompatibilità dalla quale sorge l’obbligo di astensione del Commissario, pena, in mancanza, il viziare in toto le operazioni concorsuali”.