Con la recente sentenza n. 22818 del 27 luglio 2023, la Corte di Cassazione ha escluso che il diritto al compenso per lavoro supplementare possa fondarsi sul solo dato oggettivo della protrazione della prestazione lavorativa, a prescindere dell’accertamento delle ulteriori condizioni richieste dalla contrattazione collettiva.
Nell’impiego pubblico contrattualizzato, in relazione al quale vige il principio secondo cui la disciplina del trattamento economico è rimessa alla contrattazione collettiva, i vincoli posti da quest’ultima al datore di lavoro sono infatti finalizzati ad assicurare il rispetto dell’art. 97 Cost. ed il perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa di cui all’art. 2, comma 1, lett. a) del d.lgs n. 165 del 2001, sicché la richiesta del lavoro supplementare (o aggiuntivo secondo la dizione utilizzata dal CCNL di comparto), ritenuta ammissibile nei soli casi indicati dalle parti collettive, implica innanzitutto la valutazione sulla sussistenza delle ragioni di interesse pubblico che rendono necessario il ricorso a detta prestazione e comporta, altresì, la verifica della compatibilità della spesa con le previsioni di bilancio, compatibilità dalla quale non si può prescindere in tema di costo del personale, come reso evidente dalle previsioni dettate dagli artt. 40 e seguenti del d.lgs. n. 165 del 2001, nelle diverse versioni succedutesi nel tempo.
Vanno, quindi, estesi al lavoro supplementare i medesimi principi affermati da questa Corte in tema di lavoro straordinario (si rimanda a Cass. n. 2509/2017 e a Cass. n. 23506/2022) e detta estensione è giustificata, pur nella diversità della disciplina contrattuale dettata per i due istituti, dalla medesima ratio che ispira le disposizioni con le quali si prevedono limiti alla prestazione e si impone il previo accertamento della compatibilità della spesa aggiuntiva con le risorse disponibili dell’ente.