Con la recente ordinanza n. 17648 del 20 giugno 2023, la Sezione Lavoro della Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: “L’art. 4, comma 1, del d.l. n. 16 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 68 del 2014, non deroga all’art. 2033 c.c., con la conseguenza che la P.A. può, nelle ipotesi previste dal citato art. 4, comma 1, recuperare, ai sensi del medesimo art. 2033 c.c., le somme illegittimamente versate direttamente dal dipendente che le abbia indebitamente percepite”.
La disposizione dianzi citata, nel suo testo originario, prevedeva che “Le regioni e gli enti locali che non hanno rispettato i vincoli finanziari posti alla contrattazione collettiva integrativa sono obbligati a recuperare integralmente, a valere sulle risorse finanziarie a questa destinate, rispettivamente al personale dirigenziale e non dirigenziale, le somme indebitamente erogate mediante il graduale riassorbimento delle stesse, con quote annuali e per un numero massimo di annualità corrispondente a quelle in cui si è verificato il superamento di tali vincoli. Nei predetti casi, le regioni devono obbligatoriamente adottare misure di contenimento della spesa per il personale, ulteriori rispetto a quelle già previste dalla vigente normativa, mediante l’attuazione di piani di riorganizzazione finalizzati alla razionalizzazione e allo snellimento delle strutture burocratico-amministrative, anche attraverso accorpamenti di uffici con la contestuale riduzione delle dotazioni organiche del personale dirigenziale in misura non inferiore al 20 per cento e della spesa complessiva del personale non dirigenziale nella misura non inferiore al 10 per cento. Gli enti locali adottano le misure di razionalizzazione organizzativa garantendo in ogni caso la riduzione delle dotazioni organiche entro i parametri definiti dal decreto di cui all’articolo 263, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Al fine di conseguire l’effettivo contenimento della spesa, alle unità di personale eventualmente risultanti in soprannumero all’esito dei predetti piani obbligatori di riorganizzazione si applicano le disposizioni previste dall’articolo 2, commi 11 e 12, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nei limiti temporali della vigenza della predetta norma. Le cessazioni dal servizio conseguenti alle misure di cui al precedente periodo non possono essere calcolate come risparmio utile per definire l’ammontare delle disponibilità finanziarie da destinare alle assunzioni o il numero delle unità sostituibili in relazione alle limitazioni del turn over. Le Regioni e gli enti locali trasmettono alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica, al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato e al Ministero dell’interno – Dipartimento per gli affari interni e territoriali, ai fini del relativo monitoraggio, una relazione illustrativa ed una relazione tecnico-finanziaria che, con riferimento al mancato rispetto dei vincoli finanziari, dia conto dell’adozione dei piani obbligatori di riorganizzazione e delle specifiche misure previste dai medesimi per il contenimento della spesa per il personale”.
Si tratta di una disposizione, affermano i Giudici, che introduce un sistema di recupero delle somme versate sulla base di una contrattazione collettiva integrativa nulla per violazione dei vincoli finanziari posti a questa e, quindi, colpita dalla sanzione prevista dagli ultimi due periodi del comma 3 dell’art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001 e successive modificazioni, per il quale “Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate”.
Tale sistema, secondo la prospettazione accolta dalla corte territoriale, si presenterebbe come speciale rispetto a quello generale regolato dall’art. 2033 c.c., e ne escluderebbe l’applicabilità nelle ipotesi contemplate, appunto, dall’art. 4, comma 1, del d.l. n. 16 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 68 del 2014, stabilendo che le somme indebitamente corrisposte vadano recuperate (per quel che rileva) “sulle risorse finanziarie a questa destinate, rispettivamente al personale dirigenziale e non dirigenziale”, “mediante il graduale riassorbimento delle stesse, con quote annuali e per un numero massimo di annualità corrispondente a quelle in cui si è verificato il superamento di tali vincoli”.
Ma la Cassazione afferma chiaramente di non condividere questa interpretazione, ritenendo invece che l’art. 4, comma 1, del d.l. n. 16 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 68 del 2014, non faccia venire meno la possibilità per il Comune di agire direttamente nei confronti del personale percettore degli importi non dovuti.
A questa conclusione si giunge, in primo luogo, alla luce di un’interpretazione letterale della citata disposizione poiché l’art. 4, comma 1, del d.l. n. 16 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 68 del 2014, non deroga espressamente all’art. 2033 c.c.
Occorre considerare, inoltre, che l’art. 4, comma 1, è, comunque, una disposizione che introduce una disciplina speciale la quale, quindi, deve essere letta in maniera restrittiva, trovando applicazione, nei casi da essa non espressamente contemplati, la regola più generale, rappresentata dal disposto dell’art. 2033 c.c.
Questa esegesi è supportata pure da un’interpretazione logico-sistematica.
Infatti, l’art. 2033 c.c. prescrive, per quel che rileva, che “Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato”.
Si tratta di una norma espressione di un principio generale del nostro ordinamento, per il quale ogni spostamento patrimoniale deve essere fondato su una causa giustificativa, in mancanza dovendosene rimuovere gli effetti.
Con riferimento ai pagamenti non dovuti effettuati dalla P.A., essa si ricollega anche ai principi dettati in materia di finanza pubblica, buon andamento della P.A. e gestione del pubblico denaro, di cui agli artt. 81, 97 e 119 Cost., nonché a quello di uguaglianza ex art. 3 Cost. e, in ambito lavorativo, a quello per il quale il lavoratore ha diritto, ai sensi dell’art. 36 Cost., ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro.
Qualora si interpretasse l’art. 4, comma 1, del d.l. n. 16 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 68 del 2014, nel senso della sua idoneità a rendere non applicabile, in presenza di un pagamento indebito della P.A. come quello in esame, il meccanismo di recupero della somma versata previsto dall’art. 2033 c.c. si creerebbe, in via interpretativa, senza una evidente ragione oggettiva ed in assenza di una prescrizione specifica, nell’ambito dei soli rapporti di lavoro con le Regioni e gli Enti locali, un sottosistema alternativo a quello seguito, in generale, in tutti gli altri settori del diritto e, nello specifico, nel pubblico impiego contrattualizzato.
Questa lettura del testo normativo condurrebbe, poi, ad un esito incoerente, in quanto:
– da un lato, impedirebbe alla P.A. di riscuotere la somma indebitamente pagata da chi con certezza l’ha percepita e, dunque, ben potrebbe restituirla, il quale, così, beneficerebbe di un arricchimento definitivo;
– dall’altro, imporrebbe di recuperare detto importo “sulle risorse finanziarie a questa destinate, rispettivamente al personale dirigenziale e non dirigenziale”, “mediante il graduale riassorbimento delle stesse, con quote annuali e per un numero massimo di annualità corrispondente a quelle in cui si è verificato il superamento di tali vincoli” e, quindi, nella sostanza, sulla eventuale retribuzione futura degli altri dipendenti.
Deve ritenersi, allora, che l’art. 4, comma 1, del d.l. n. 16 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 68 del 2014, non introduca un sistema alternativo a quello disciplinato dall’art. 2033 c.c. e che, pertanto, anche nell’ipotesi regolata da detto art. 4, comma 1, l’ente locale possa agire per il recupero dell’indebito nei confronti del lavoratore che abbia percepito somme erogate senza rispettare i vincoli finanziari posti alla contrattazione collettiva integrativa.
In altre parole, conclude l’ordinanza, l’art. 4, comma 1, del d.l. n. 16 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 68 del 2014, ha previsto semplicemente un meccanismo obbligatorio di riassorbimento delle risorse illegittimamente utilizzate per mezzo della contrattazione integrativa che opera all’interno della stessa P.A., nel senso che ne limita l’autonomia nella gestione delle disponibilità future, e si aggiunge al rimedio generale dell’art. 2033 c.c.