Con l’Ordinanza n. 5578 del 23 febbraio 2023, la Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo il quale rimane dovuta la quota fissa della Tassa Rifiuti in relazione alle superfici produttive di rifiuti speciali.
Nel caso di specie, un Comune proponeva ricorso in Cassazione avverso la sentenza della CTR la quale, confermando il giudizio dei giudici di primo grado, aveva disposto la non debenza del tributo per gli anni 2014 e 2015 per le aree di un opificio industriale produttive di imballaggi secondari, in considerazione della mancata attivazione della raccolta differenziata e della conseguente mancata possibilità di assimilare gli stessi ai rifiuti urbani, e terziari, trattandosi in entrambi i casi di rifiuti speciali non conferibili al pubblico servizio.
I giudici della Suprema Corte hanno affermato quanto segue:
“[…] la parte fissa della tariffa è invece dovuta sempre per intero, sul mero presupposto del possesso o detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, essendo essa destinata a finanziare i costi essenziali e generali di investimento e servizio nell’interesse dell’intera collettività (dunque indipendentemente dalla qualità e quantità dei rifiuti prodotti, così come dall’oggettiva volontaria fruizione del servizio comunale, purché effettivamente apprestato e messo a disposizione della collettività); si tratta di costi ai quali debbono partecipare tutti i possessori di locali all’interno del territorio comunale, in quanto astrattamente idonei ad ospitare attività antropiche inquinanti e, dunque, a costituire un carico per il gestore del servizio (Cass. n. 5360 del 2020 cit.; Cass. n. 7181 del 2021 cit.)”.
Secondo la Cassazione infatti l’esclusione dal tributo deve riguardare solo la parte variabile nei casi in cui l’utenza non domestica sia in grado di dimostrare la produzione di rifiuti speciali o il conferimento dei rifiuti urbani prodotti a soggetti diversi dal servizio pubblico di raccolta. Rimane invece dovuta per intero la quota fissa in ragione della finalità di quest’ultima che, a differenza della quota variabile, non è connessa all’effettiva fruizione del servizio di raccolta, ma alla copertura dei servizi indivisibili di cui beneficia l’intera collettività.
In antitesi alla decisione della Corte si richiama l’articolo 1 comma 649 L. 147/2013 che dispone: “Nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. […]”.
Come avevamo già rilevato nella news consultabile al seguente link, il principio che si sta via via consolidando nella giurisprudenza sul tema si pone in aperto contrasto con la norma TARI vigente: i Comuni dunque, nei casi in questione, trovano da un lato la norma che impone di non considerare imponibile la parte di superficie prevalentemente produttiva di rifiuti speciali, mentre dall’altro la giurisprudenza che ritiene invece legittima l’applicazione della sola quota fissa del tributo alle superfici produttive di detti rifiuti.