Come noto, l’art. 23, comma 2, del D.Lgs. n. 75/2017 prevede che «Nelle more di quanto previsto dal comma 1, al fine di assicurare la semplificazione amministrativa, la valorizzazione del merito, la qualità dei servizi e garantire adeguati livelli di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, assicurando al contempo l’invarianza della spesa, a decorrere dal 1° gennaio 2017, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2016. A decorrere dalla predetta data l’articolo 1, comma 236, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 è abrogato. Per gli enti locali che non hanno potuto destinare nell’anno 2016 risorse aggiuntive alla contrattazione integrativa a causa del mancato rispetto del patto di stabilità interno del 2015, l’ammontare complessivo delle risorse di cui al primo periodo del presente comma non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2015, ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio nell’anno 2016».
La disposizione in esame, dunque, fissa un limite alla consistenza massima dei fondi annualmente riservati al trattamento economico accessorio del personale, che non può superare l’importo-base del 2016 (in tal senso, Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Puglia, deliberazione n. 99/2018).
Può capitare, tuttavia, che gli enti commettano degli errori nella quantificazione di tali fondi. In questi casi, è possibile procedere ad una rimodulazione del limite previsto dall’art. 23, comma 2, del D.lgs. 25 maggio 2017, n. 75?
Non ha dubbi in proposito la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Puglia (deliberazione n. 163/2022/PAR).
Uniformandosi all’interpretazione fornita in passato da altre sezioni regionali della Corte (ex multis deliberazione della Sezione regionale dell’Emilia Romagna n. 37/2021/PAR), la Sezione regionale pugliese ritiene infatti che “qualora l’importo-base del fondo del 2016 non sia stato calcolato correttamente, l’ente possa determinare il nuovo importo-base in modo corretto, sempre nel rispetto delle disposizioni di cui si è detto in precedenza. A contrario, l’ente sarebbe costretto a subire le conseguenze dell’errore originario anche negli esercizi successivi, il che non appare conforme alla ratio della normativa in esame”.
L’ente, precisano tuttavia i Giudici contabili, non potrà procedere al ricalcolo del detto fondo ad libitum, bensì su di esso graverà «l’onere di comprovare esattamente l’errore di calcolo nella determinazione delle risorse stabili che ne abbia causato una errata» stima (nelle due speculari fattispecie della sottostima o della sovrastima) del relativo fondo «quale imprescindibile condizione proprio al fine di ripristinare il rispetto del limite, come correttamente rideterminato, impresso dal Legislatore del 2017 attraverso il disposto dell’art. 23, comma 2, del D.Lgs. n. 75/2017 sopra citato, quale strumento di contenimento della spesa in materia di personale» (in tal senso, Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Piemonte, deliberazione n. 182/2019).