Nell’ambito delle attività industriali devono essere distinti per natura i rifiuti speciali da quelli urbani con la conseguenza che le superfici dove si producono questi ultimi saranno soggette a tassazione: lo ha stabilito il TAR Sardegna con sentenza n. 893/2021.
La vicenda: una società comunicava al Comune la propria volontà di avvalersi delle modifiche legislative intervenute con il D.Lgs. 116/2020, in quanto provvedeva a smaltire, tramite idoneo operatore, tutti i rifiuti prodotti dai propri stabilimenti industriali, compresi quelli creati in spazi diversi non strettamente connessi alla lavorazione.
In un primo momento, il Comune dava riscontro negativo, ritenendo che l’imprenditore industriale veniva ritenuto ancora soggetto al ritiro dei rifiuti urbani e quindi tenuto al versamento della TARI. Successivamente, affermava che dalla lettura combinata dei nuovi artt. 183 e 184 D.Lgs. 152/2006 emergevano delle importanti novità. In particolare:
- una nuova definizione di rifiuto urbano, estesa anche ai rifiuti provenienti da fonti non domestiche se simili per natura e composizione ai rifiuti domestici, indicati nell’allegato L-quater del decreto medesimo;
- l’esclusione dai rifiuti urbani di quelli generatisi nei reparti produttivi delle attività industriali di produzione di beni (in senso tecnico);
- l’impossibilità di estendere l’esclusione di cui al punto precedente ai rifiuti di cui all’allegato L-quater che si formano in locali diversi dai reparti produttivi, quali uffici, mense, spacci, depositi e/o magazzini di prodotti finiti e/o semilavorati, ecc., anche se utilizzati dalle medesime attività industriali.
La società ricorreva di fronte al giudice amministrativo impugnando gli atti comunali di diniego.
Facendo un preciso excursus normativo, il TAR rileva che, anche nell’ambito industriale, devono essere distinti, per natura, i rifiuti speciali e quelli urbani, e precisa che in quelli speciali “vanno inclusi tutti quelli industriali (o propriamente tali o direttamente e strettamente connessi), ma non anche quelli urbani prodotti da superfici e locali tipicamente destinate a svolgimento di attività ordinarie civili (parificabile ad utenze domestiche e affini)”. In altre parole “dall’insieme delle norme che disciplinano l’assetto del regime di smaltimento dei rifiuti industriali va accolta la tesi della sussistenza di un sistema “binario” (per tipologia di rifiuti) e non “unitario” (per “qualificazione soggettiva” dell’imprenditore)”.
Ne discende che l’esercizio di una attività industriale non fa scattare l’esclusione dalla tassazione per tutta la superficie occupata. Secondo il TAR infatti devono essere rispettati i seguenti principi:
“§ I rifiuti prodotti dall'<industria>, in quanto “rifiuti speciali”, debbono essere smaltiti dalle imprese, a proprie spese, mediante incarico a soggetti autorizzati.
§ Anche gli imprenditori industriali sono produttori di “rifiuti urbani” in relazione a superfici non strettamente collegate alla “produzione”, quali uffici, mense, servizi.
§ Le superfici destinati a “magazzini per materie prime e stoccaggio” rientrano nell’esclusione dal tributo in quanto funzionalmente e strettamente connesse all’esercizio del ciclo produttivo.
§ La parte di rifiuti “urbani”, se autosmaltiti (in tutto o in parte, per “frazioni” di rifiuto) mantengono l’obbligo al pagamento della “quota fissa” e non anche a quella “variabile” (rapportata alla quantità di rifiuti conferiti).
B) Per altra tipologia di superfici che producono, invece, rifiuti, per natura e tipologia, oggettivamente analoghi ai “rifiuti urbani”, quali sono gli spazi destinati a “MENSE, UFFICI, SERVIZI E LOCALI AD ESSI FUNZIONALMENTE FUNZIONALI”, dedicati allo svolgimento di attività “non industriali”, questi rientrano a pieno titolo nella nozione e categoria dei “rifiuti urbani”, per omogeneità sostanziale, con conseguente applicazione del correlato regime giuridico ed economico.
Per tali spazi l’imprenditore, anche qualora decida di fruire della possibilità dell’autoconsumo, non può sottrarsi al pagamento della “quota fissa” del tributo”.
Alla luce delle conclusioni cui giunge il Tribunale amministrativo emerge la necessità per i Comuni di provvedere ad aggiornare, anche mediante invio di questionari agli utenti, le proprie banche dati suddividendo le superfici industriali unitariamente considerate in superfici da escludere e aree accessorie da tassare, così da allinearsi alla nuova disciplina ed evitare la cancellazione di una parte consistente di base imponibile.