La Sezione non nutre alcun dubbio sul fatto che la nuova disciplina relativa alla tassazione dei buoni pasto introdotta dall’art. 1, comma 677, della legge n. 160/2019 (che ha modificato l’art. 51, comma 2 del TUIR) si riferisca anche al datore di lavoro pubblico. Diversamente argomentando, infatti, si creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra dipendenti pubblici e dipendenti privati.
L’estensione della disciplina citata anche al datore di lavoro pubblico non può tuttavia avere quale conseguenza indiretta la possibilità di concedere ai dipendenti pubblici un buono pasto di valore nominale pari a 8,00 euro.
Difatti, l’art. 5 del decreto-legge n. 95/2012, convertito in Legge n. 135/2012 (nell’ambito della “Spending Review) dispone molto chiaramente che il valore nominale dei buoni pasto per i dipendenti pubblici non può superare l’importo di 7,00 euro per singolo buono (previsione che ha superato il vaglio della Corte Costituzionale con la sentenza n. 225 del 2013).
Pertanto, nessuna innovazione può derivare dalla norma citata ai fini della determinazione del valore nominale del buono pasto dei dipendenti pubblici. E in realtà nessuna novità (sostanziale) si produce anche sotto il profilo del trattamento fiscale, considerato che l’art. 51, comma 2, del TUIR, anche prima della modifica normativa sopra richiamata, prevedeva quale limite di esenzione 7,00 euro, ossia il valore nominale massimo attribuibile ai buoni pasto nella pubblica amministrazione.
Rimane, quindi, immutato il vantaggio del dipendente pubblico che, ora come allora, non subirà trattenute in busta paga per i buoni pasto riconosciuti dal datore di lavoro pubblico nei limiti indicati.
Lo ha precisato la Sezione regione di controllo della Corte dei conti della Toscana con deliberazione n. 88/2021/PAR.