Con Ordinanza n. 32001 del 5 novembre 2021, la Corte di Cassazione ha confermato l’orientamento secondo il quale i locali non strettamente adibiti al culto sono soggetti alla TARI in quanto produttivi di rifiuti urbani.
Nel caso di specie, un monastero proponeva ricorso contro la sentenza d’appello con la quale i giudici di secondo grado avevano rilevato che “l’art 62 comma primo del D. Lgs 507/1993 non conteneva alcuna esclusione degli immobili adibiti ad alloggi delle suore e degli ecclesiastici dall’area di applicazione della TARSU e lo stesso regolamento del Comune di (omissis) all’art. 4 applica il beneficio fiscale soltanto ai locali destinati al culto religioso limitatamente alla parte dove si svolgono le funzioni”.
Il ricorrente contestava il mancato riconoscimento dell’esenzione all’intera superficie del Monastero destinata alla preghiera, alla vita comune e alla formazione religiosa anche in ragione dell’interpretazione autentica fornita con successiva modifica regolamentare con la quale il Comune stabiliva:“2. Non sono soggetti al tributo i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o che non comportano, secondo la comune esperienza, la produzione di rifiuti in misura apprezzabile per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati, come a titolo esemplificativo: […] h) i locali destinati al culto, intendendosi per tali anche quelli strettamente connessi alle attività di culto (es. cori, cantorie, narteci, sacrestie, aree di clausura). Sono, viceversa, tassabili eventuali locali annessi, adibiti ad abitazione e/o usi diversi da quelli di culto in senso stretto”.
Sul tema i giudici della Corte si sono espressi affermando quanto segue:
“La Tarsu costituisce un corrispettivo di servizio legato alla qualità e quantità dei rifiuti prodotti dal soggetto passivo, in quanto è proprio la produzione ed il conferimento di rifiuti che costituiscono la ratio del prelievo medesimo. […] Inoltre, non è stata allegata – e neppure dimostrata – dalla contribuente alcuna condizione oggettiva di esclusione dal conferimento di rifiuti solidi urbani per i locali non destinati a culto i quali, ancorché siti all’interno del Monastero producono rifiuti come qualsiasi edificio, mentre è appena il caso di rilevare che, ai sensi del Regolamento del Comune di (omissis) adottato in materia, art. 4, applicabile ratione temporis, «non sono soggetti a tariffa soltanto i locali destinati al culto religioso limitatamente alla parte di essi dove si svolgono funzioni religiosi con esclusione di eventuali annessi locali adibiti ad abitazione ed usi diversi da quello del culto in senso stretto». Non pertinente è infatti il richiamo operato dalla ricorrente all’art. 5 del Regolamento che, al di là della sua effettiva portata applicativa, è stato adottato con delibera di approvazione del 30.3.2017 trattandosi di una previsione entrata in vigore in epoca successiva all’anno di imposta qui in discussione sicché non può riconoscersi allo stesso efficacia retroattiva”.
Con questa sentenza la Cassazione ribadisce quanto precedentemente rilevato con sentenza n. 8087/2020 (che avevamo commentato con la news consultabile cliccando qui): l’esclusione dal tributo è giustificata soltanto in relazione all’inidoneità dei locali alla produzione di rifiuti e non alla destinazione degli stessi all’esercizio del culto; in alternativa rimane ferma la facoltà per il Comune di disciplinare all’interno del Regolamento apposite agevolazioni ricorrendo alla copertura delle stesse mediante risorse diverse dal gettito TARI.