Come già segnalato nei giorni scorsi, il comma 7 dell’art. 3 del D.L. n. 80/2021 (c.d. decreto “Reclutamento”) ha modificato in modo sostanziale la disciplina della mobilità volontaria, prevedendo l’eliminazione del nulla osta dell’amministrazione di appartenenza del dipendente che voglia usufruire della mobilità verso un’altra amministrazione (fatta eccezione per alcuni casi particolari espressamente previsti dalla norma stessa).
Tale modifica avrà certamente un impatto notevole sull’organizzazione degli enti locali, specie quelli di ridotte dimensioni organizzative o logisticamente più disagiati; non è un segreto, infatti, che il comparto delle funzioni locali sia statisticamente un cedente netto rispetto al resto della PA (con un numero di usciti sensibilmente superiore rispetto agli entranti).
Ma al di là di questo, l’aspetto più controverso e più problematico della c.d. liberalizzazione della mobilità resta quello legato alla sostituzione del personale che passerà alle dipendenze di altre amministrazioni pubbliche. È risaputo, infatti, che per la Magistratura contabile anche i Comuni virtuosi, che possono incrementare le assunzioni, devono comunque mantenere la spesa del personale entro i valori soglia previsti e non possono, pertanto, utilizzare il turnover per l’anno in corso, ovvero procedere alla copertura al cento per cento delle cessazioni di personale, a prescindere da tali valori soglia e dalle percentuali assunzionali stabilite dal decreto-legge n. 34 del 2019 e dalla normativa di attuazione contenuta nel decreto 17 marzo 2020 della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica (si vedano le delibere della Sezione regionale di controllo della Lombardia n. 93/2020/PAR e n. 112/2020/PAR).
Non va meglio, ovviamente, agli enti “intermedi” (ovvero quelli il cui rapporto fra spese di personale e la media delle entrate correnti nel triennio al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità risulta pari ad una percentuale compresa fra i due valori soglia previsti dal già cit. decreto attuativo dello stesso D.L. n. 34/2019), i quali potranno effettuare assunzioni di personale a tempo indeterminato, eventualmente anche coprendo il turnover al 100%, soltanto laddove sia possibile garantire che non venga superato il valore soglia determinato dal rapporto tra spesa del personale ed entrate correnti rispetto a quello corrispondente registrato nell’ultimo rendiconto approvato (si veda la delibera della Sezione regionale di controllo della Corte dei conti del Veneto n. 15/2021/PAR).
Per non parlare, poi, dei comuni con elevata incidenza della spesa di personale sulle entrate correnti (c.d. “non virtuosi”) che, ai sensi dell’art. 6, comma 1, del più volte citato decreto del 17 marzo 2020, devono adottare “un percorso di graduale riduzione annuale del suddetto rapporto fino al conseguimento nell’anno 2025 del predetto valore soglia anche applicando un turn over inferiore al 100 per cento”.
Per cui il rischio concreto connesso all’entrata in vigore delle nuove regole sulla mobilità volontaria è quello di un progressivo svuotamento degli organici degli enti meno attrattivi, ossia di quelli caratterizzati da situazioni di disagio del contesto ambientale e geografico di riferimento o più semplicemente dotati di minori risorse da destinare all’incentivazione del personale.