La Sezione Giurisdizionale d’Appello della Corte di conti per la Regione Siciliana, riformando la decisione resa all’esito del giudizio di primo grado (cfr. sentenza n. 157/2020 della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana del 16 aprile 2020), ha escluso (con sentenza n. 56/2021) la sussistenza di un danno erariale laddove l’Amministrazione abbia già autonomamente provveduto al recupero delle somme illegittimamente corrisposte al personale dipendente ex art 4 del D.L. n. 16/2014 (in questo caso si trattava di somme erogate ai dipendenti a titolo di indennità di rischio per attività svolta al videoterminale).
I giudici di prime cure avevano infatti dichiarato la irrilevanza dell’intervenuto recupero di queste somme, ai sensi dell’art. 4 del D.L. n. 16/14, in quanto, nel caso di specie, non si sarebbe verificato a loro avviso un effettivo ripristino del pregiudizio subito dall’Amministrazione alla luce di due caratteristiche del procedimento in parola:
-sotto un profilo oggettivo, esso non comporterebbe un effettivo incasso per il Comune danneggiato quanto un mero risparmio di spesa, pur se di identico ammontare;
-sotto un profilo soggettivo, non si tratterebbe di un recupero nei confronti dei dipendenti che avevano fruito delle indennità contestate quanto di una riduzione del Fondo delle risorse decentrate.
Ma la Sezione Giurisdizionale d’Appello ha in proposito opportunamente ricordato che il presupposto della responsabilità erariale ordinaria, al di là delle specifiche ipotesi enucleate come risarcitorie dal legislatore, è la individuazione di un danno da risarcire.
Nessuna norma, infatti, autorizza a ritenere che il ripiano del danno tramite risparmio di spesa, ovvero tramite recupero a carico di soggetti diversi dai presunti percettori delle illegittime erogazioni, presentino una minore o diversa efficacia nella eliminazione del pregiudizio.
Quanto alla parte della motivazione della sentenza impugnata, secondo cui il recupero ex art. 4 D.L. n. 16/14 non avrebbe rilievo anche per ragioni di natura oggettiva, in quanto costituirebbe un risparmio di spesa, va condivisa la prospettazione della difesa che ha diversamente opinato come le somme recuperate ai sensi dell’art. 4 D.L. citato vengono prelevate dal cd. Fondo risorse decentrate, che è alimentato da specifiche poste, fisse e variabili.
Si tratterebbe, dunque, di risparmi di spesa derivanti dalla mancata erogazione di determinate somme ai dipendenti, e dunque di pertinenza degli stessi.
Del resto, la natura di risparmio di spesa attiene alla fonte da cui il citato fondo trae origine, ma non incide sul diverso profilo del ristoro ottenuto dalla PA, la quale, tramite il meccanismo di cui all’art. 4 D.L. 16/14, finisce per incamerare importi di altrui competenza.
D’altra parte, neppure il profilo cd. soggettivo, che precluderebbe la possibilità del recupero ex art. 4 D.L. n. 14/16, appare pertinente.
Anzitutto, a livello sistematico non appare condivisibile la supposta necessità di una equivalenza tra chi abbia beneficiato delle erogazioni illegittime e chi le restituisca.
Né appare possibile ritenere che l’unica possibile alternativa di effettivo recupero, utile a scongiurare la condanna, avrebbe dovuto essere l’azione di recupero nei confronti dei dipendenti comunali.
Non v’è dubbio che la valutazione, relativa alla attualità ed alla esistenza del danno alla PA, va fatta sul piano oggettivo e non certo su profili soggettivi.
Peraltro, l’auspicato recupero diretto nei confronti dei singoli dipendenti non appariva praticabile in ragione di una precisa scelta del legislatore: a mente dei primi tre commi dell’art. 4 del D.L. n. 16/14 è stata, infatti, esclusa la possibilità di procedere alla ripetizione dell’indebito direttamente sui dipendenti, prevedendo un meccanismo sostitutivo.
Si tratta, infatti, della peculiare responsabilità c.d. collettiva degli stessi dipendenti in luogo di quella dei singoli che si radica nell’art. 4 d.l. citato, mediante il prelievo dal Fondo collettivamente riferibile agli stessi lavoratori e dagli stessi alimentato.
È lo stesso legislatore che ha previsto tale possibilità di ristoro della PA che è sottoposta ad alcuni paletti e condizioni, tra questi la condizione che, al momento in cui è iniziato il recupero, non fosse intervenuta pronunzia di condanna contabile.
Al riguardo, basta considerare che, prima ancora della pronunzia di condanna, l’Amministrazione aveva provveduto a recuperare una somma ben maggiore di quella contestata e, ancor di più, rispetto a quella comminata.
Del resto, se fosse possibile confermare la sentenza di condanna degli amministratori, nonostante il già disposto recupero citato sul Fondo, allora la PA danneggiata, oltre a beneficiare del ristoro intervenuto per scelta del Legislatore ex D.L. 16/14, finirebbe anche per incamerare importi di altrui competenza.
In altri termini, è vero che il precitato meccanismo ex D.L. 14/16 non potrebbe avere effetto sanante ex tunc, dunque legittimamente l’Azione della Procura era stata avviata, ma già prima della declaratoria di condanna in primo grado, alla luce delle dianzi espresse considerazioni, doveva reputarsi utile per ritenere implausibile l’esistenza attuale di un danno da risarcire.