Il tema della doppia abitazione principale nel caso di coniugi residenti in Comuni diversi torna di attualità grazie a due significative pronunce della Corte di Cassazione, ossia l’Ordinanza n. 4166 del 19/02/2020 e la recente Sentenza n. 20130 del 24/09/2020.
In entrambe vengono confermati due principi fondamentali.
In primo luogo, è rilevato come il tenore letterale dell’art. 13 co. 2 D.Lgs. 201/2011 in materia di abitazione principale si differenzi significativamente rispetto alla previsione in materia di ICI (art. 8 co. 2 D.Lgs. 504/1992). Infatti, non deve essere dimenticato che, mentre in ambito IMU deve sussistere corrispondenza tra il luogo di residenza e quello di dimora abituale del possessore, in ambito ICI, il termine “residenza anagrafica” era da intendere come sinonimo di dimora, la quale diventava quindi l’unico requisito affinché potesse riconoscersi abitazione principale.
In secondo luogo, la Suprema Corte ribadisce come le norme tributarie, ed in particolare quelle agevolative, debbano essere di stretta interpretazione, quindi il tenore letterale della norma IMU sopra richiamata “[…] comporta, la necessità che in riferimento alla stessa unità immobiliare tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare non solo vi dimorino stabilmente, ma vi risiedano anche anagraficamente. […]”. Ne deriva che in caso di divisione del nucleo familiare che presupponga residenze e dimore differenti dei coniugi, nessuna delle abitazioni possedute dagli stessi possa essere considerata come quella principale e non spetta nessuna esenzione.
Si noti che le conclusioni cui giunge la Cassazione si pongono in contrapposizione rispetto a quanto aveva previsto il MEF nella Circ. n. 3/DF del 2012. In quell’occasione infatti era stata ritenuta plausibile l’ipotesi di residenza e dimora abituale in due abitazioni site in Comuni diversi (con possibilità di considerare entrambe come abitazioni principali) dato che in tale situazione il rischio di elusione della norma era bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro Comune, ad esempio, per esigenze lavorative.
La lettura fornita dalla Cassazione è dunque più rigida e restrittiva rispetto alle indicazioni fornite dal MEF, ed è chiaramente volta ad evitare fenomeni elusivi soprattutto con riguardo alle seconde case turistiche (entrambi i giudizi sono sorti in riferimento a simili immobili siti in Comuni di villeggiatura).
A nostro parere comunque l’effettiva necessità per un coniuge di spostare residenza e dimora non può sempre essere esclusa a priori, ma potrà essere confermata purché si rendano necessarie valutazioni oggettive della fattispecie concreta e la verifica di prove documentali incontrovertibili a giustificazione della scissione del nucleo familiare.