Da qualche giorno si rincorrono le voci di un’imminente pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto interministeriale attuativo dell’art. 33, comma 2, del D.L. n. 34/2019 (c.d. “Decreto Crescita”), norma con la quale il Legislatore ha posto le basi per un mutamento radicale dei meccanismi di calcolo della capacità assunzionale a disposizione dei Comuni, prospettando il definitivo superamento della logica del turn over con un sistema più equo e razionale basato sulla sostenibilità finanziaria della spesa di personale.
Per il momento non si hanno ancora notizie ufficiali al riguardo, ma vale comunque la pena iniziare a fare qualche ragionamento sugli scenari che si andrebbero a delineare nel caso in cui detto provvedimento venisse effettivamente adottato.
A tal fine, dobbiamo preliminarmente ricordare che il nuovo meccanismo di calcolo fornisce un metodo assai rigoroso per valutare la virtuosità dei Comuni, assumendo come parametro di riferimento il rapporto tra la spesa del personale e la media delle entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti approvati, considerate al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità stanziato nel bilancio di previsione.
Nell’immediato, dunque, alcuni enti particolarmente virtuosi potrebbero anche trarre vantaggio da questa modifica normativa, vedendosi accordata la possibilità di dar corso ad un certo numero di assunzioni aggiuntive, ma molti altri si troverebbero invece impossibilitati anche solo a sostituire integralmente il personale cessato negli anni precedenti, dovendo quanto meno garantire l’invarianza del valore del predetto rapporto rispetto a quello corrispondente registrato nell’ultimo rendiconto della gestione approvato.
Paradossalmente, quindi, in un periodo come quello che stiamo attraversando, caratterizzato da un calo drastico delle entrate comunali, la modifica introdotta dal Milleproroghe di fine 2019 (che ha sostituito nel testo della norma in esame il riferimento alla spesa di personale registrata nell’ultimo rendiconto con “il valore del predetto rapporto rispetto a quello corrispondente registrato nell’ultimo rendiconto della gestione approvato”) potrebbe rivelarsi un vero e proprio cappio attorno al collo degli enti c.d. mediani (ovvero quelli che registrano un rapporto compreso tra il primo ed il secondo valore soglia), i quali dovrebbero obbligatoriamente ridurre (anche considerevolmente) la propria spesa del personale pur di non far aumentare il suddetto rapporto.
Nel giro di un paio d’anni, poi, la riforma produrrebbe quasi certamente effetti negativi per la maggior parte dei Comuni, stante il preannunciato crollo delle entrate per molti di essi. In assenza di correttivi sui valori soglia, infatti, detta contrazione del denominatore potrebbe determinare lo “scivolamento” di numerosi enti dalla fascia più bassa a quella intermedia, con conseguenti ricadute negative sui contingenti assunzionali a loro disposizione.
Ma anche laddove questo passaggio di classe non dovesse avvenire, la riduzione delle entrate andrebbe comunque a riverberarsi negativamente sulle capacità assunzionali disponibili, visto che gli enti più virtuosi possono incrementare la propria spesa di personale soltanto sino ad una spesa complessiva rapportata alle entrate correnti non superiore ai valori soglia previsti dalla Tabella 1 del decreto. Per cui, a fronte della riduzione del denominatore, i Comuni registrerebbero comunque un ridimensionamento delle loro facoltà assunzionali.
Pertanto, per evitare che la novella si trasformi in un blocco generalizzato delle assunzioni, il Legislatore dovrà necessariamente rimodulare le fasce di virtuosità per gli anni 2021 e seguenti o, quanto meno, neutralizzare gli effetti della crisi da Covid-19 sulle entrate correnti degli enti locali.
Vedremo nei prossimi giorni se ci saranno sviluppi su questo fronte.