Come deve essere correttamente interpretato il principio della equivalenza delle mansioni nel pubblico impiego?
È nel fornire risposta a questa domanda che l’Aran ha ricordato in un recente parere (datato 13 maggio) che la vigente contrattazione collettiva in materia di sistema di classificazione professionale del personale del Comparto delle Funzioni locali (tuttora rinvenibile nelle disposizioni del CCNL del 31.3.1999) non detta alcuna specifica disciplina per l’assegnazione del lavoratore a mansioni diverse da quelle proprie del profilo posseduto dal medesimo.
In ordine al vincolo dell’equivalenza, l’art.3, comma 2, del CCNL del 31.3.1999, dispone infatti solamente che tutte le mansioni che vengano ascritte dal contratto collettivo nazionale all’interno delle singole categorie, “in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili”.
Tale disciplina contrattuale, precisa l’Agenzia, deve oggi essere correttamente interpretata diacronicamente nel contesto dell’evoluzione della disciplina legislativa in materia, da ultimo scandita nell’articolo 52, nuovo testo, del D.Lgs. 165/2001 e smi., rispetto alla quale è intervenuta più volte la Corte di Cassazione (cfr. Cass. 16/06/2009 n° 13941 e Cass. 26/01/2017 n° 2011) per escludere il diritto del lavoratore ad una corrispondenza necessariamente “professionale” tra mansioni di provenienza e mansioni di destinazione. Essa accoglie infatti una nozione “formale” di equivalenza delle mansioni, in contrapposizione al lavoro privato, nel quale, fino alla modifica del 2015, era predominante in giurisprudenza il concetto di equivalenza “professionale” o sostanziale.
Ai fini della interpretazione della regola sull’equivalenza delle mansioni contenuta nell’art. 3, comma 2, del CCNL del 31.03.1999 sulla base della ricordata esegesi giurisprudenziale dell’articolo 52, nuovo testo, del D.Lgs. 16512001 e smi, si deve pertanto rilevare che la locuzione “in quanto equivalenti” non può che essere considerata espressione di una valutazione di equivalenza di tutte le mansioni ascrivibili ad una stessa categoria aprioristicamente formulata dal contratto collettivo nazionale e perciò intesa in senso formale, statuendo la possibilità di assegnazione al lavoratore di mansioni diverse da quelle del profilo posseduto purché ascrivibili alla medesima categoria secondo la relativa declaratoria professionale come descritta nell’allegato A allo stesso CCNL.
Così ricostruita la lettura interpretativa delle disposizioni del contratto collettivo nazionale di lavoro in materia di equivalenza delle mansioni, conclude il parere dell’Aran, la valutazione di tale equivalenza nel caso concreto costituisce una questione di natura prettamente gestionale relativa all’esercizio del potere direttivo ed organizzativo datoriale da parte dell’Ente e che, pertanto, esula dalla competenza della scrivente Agenzia la quale, come è noto, è circoscritta dall’articolo 46, comma 1, D.Lgs. 165/2001 e smi, alla formulazione di orientamenti per l’uniforme applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro.